Tra le armi più sottovalutate della storia, complici anche i media contemporanei, come videogames e giochi di ruolo, troviamo sicuramente quell’insieme di lame corte che vanno sotto il nome di “daga” o, talvolta, di “pugnale”. Dal Medioevo al Rinascimento, fino all’età moderna (sotto forme diverse), questo tipo di arma manesca piuttosto semplice ha accompagnato guerrieri, viaggiatori, nobili, mercanti e umili popolani, in bella mostra alla loro cintola o nascosta dietro la schiena, o magari all’interno di uno stivale. Si trattava di un mero orpello di eleganza, oppure la daga era davvero un attrezzo utile al suo scopo?

Vediamo innanzitutto di chiarire bene a cosa ci riferiamo, quando usiamo il termine “daga”. Questo genere di armi da taglio e affondo è presente un po’ ovunque, in un gran numero di fogge; daghe e pugnali non vanno però confuse con i coltelli, che di norma sono a filo singolo e atti soprattutto al taglio. I coltelli sono usati più come strumenti da caccia, cucina o artigianato, che non come vere e proprie armi. In generale, ciò che distingue una daga da un coltello è la forma, predisposta innanzitutto all’affondo, per cui la punta tende ad essere decisamente acuminata, su una lama diritta e rastremata.
Anche molte spade antiche, tra quelle in bronzo, sono spesso chiamate “daghe” dagli esperti, dal momento che si tratta di armi corte e simili alla descrizione che abbiamo appena fornito. Alcune di esse potrebbero in effetti essere usate in maniera analoga a una daga propriamente detta, come ad esempio lo Xiphos greco o il Gladio pompeiano, ma si tratta di un discorso molto ampio, e allo scopo del nostro articolo, non prenderemo in considerazione queste tipologie.

La daga medievale si può ritrovare in forme disparate: quella della basilarda, o baselardo, ha lama piatta ed elsa a forma di lettera “H”; la daga a rondelle ha una lama a sezione triangolare ed elsa chiusa da due dischi rotondi; il “pugnale a orecchie”, simile a quest’ultima, presenta però un pomolo caratteristico con due valve laterali, che forse aiutava la spinta verso il basso con il pollice. Spostandoci verso il Rinascimento, troviamo daghe con else sempre più protettive: la guardia a croce si allunga, talvolta si incurva per bloccare meglio la lama avversaria; compaiono anelli laterali, conchiglie e piastre “a vela“, soprattutto nella daga “da accompagno”, usata cioè prettamente come compagna della Spada da Lato o della Striscia.

Insomma, si può dire che, nella sua onnipresenza, la daga abbia subito una progressiva evoluzione, passando da un’arma prettamente offensiva ad una usata, soprattutto, per difendersi. Di pari passo con la forma, anche il suo utilizzo ideale è cambiato: se le versioni medievali venivano afferrate soprattutto con la punta verso il basso, come mostrano ad esempio Fiore dei Liberi e Hans Talhoffer, dal Cinquecento si passa a brandirla in modo simile alla spada, che di norma accompagnava: esempi in questo senso sono i maestri Achille Marozzo e Ridolfo Capoferro. Non che l’uno o l’altro modo di brandire la daga scompaia, beninteso: gli stessi trattatisti illustrano entrambe le modalità, a dimostrazione di quanto versatile sia quest’arma.
Veniamo dunque al confronto vero e proprio: una semplice daga, di per sé, può essere considerata, in qualche modo, pari o superiore ad una spada? Naturalmente, esistono decine di variabili da considerare, che dipendono tutte unicamente dal contesto e dal tipo di daga e di spada che si prenda in considerazione. Restando sul generico, potremmo dire innanzitutto che, in un semplice duello in campo aperto, senza scudi né armature, il guerriero armato solo di daga avrebbe grossi problemi a confrontarsi con qualunque tipo di spadaccino. Il motivo evidente è l’enorme svantaggio della daga dal punto di vista dell’allungo: le spade (Sciabole, Strisce, Spade a due Mani o Katana che siano) potranno sempre colpire a maggiore distanza rispetto alle daghe, e quindi anche più velocemente, in termini assoluti.

In una situazione come quella descritta, il combattente con la daga può soltanto cercare di avvicinarsi il più possibile all’avversario, così da annullare il suo vantaggio e colpirlo a distanza di lotta. Più facile a dirsi, che a farsi! Un passo avventato contro uno spadaccino vigile, nel mondo reale, significa sempre esporsi a una ferita letale. Ecco perché si dovrà mettere in conto di usare la daga anche per difesa, prima che per attaccare. Fiore dei Liberi mostra come bloccare un fendente usando la lama della daga a mo’ di parabraccio, ma per riuscirci occorre una certa maestria, oltre che fortuna: lo spadaccino, soprattutto se la sua arma è tenuta con due mani, potrebbe sempre essere più svelto e cambiare all’ultimo l’allineamento della lama, ferendo il gomito o colpendo di punta verso il busto.
Assumendo che la daga usata abbia un’elsa minimamente protettiva, come una semplice guardia a croce, sarebbe forse più utile brandirla con la lama rivolta verso l’alto, e usarla per deviare direttamente gli attacchi avversari. In questo caso, però, i colpi sferrati dopo essersi avvicinati non saranno altrettanto rapidi e letali, sempre ammesso di riuscire a eludere del tutto la lama avversaria. Insomma, combattere con soltanto una daga richiede una grande capacità e dei riflessi pronti, nonché l’uso continuo di entrambe le mani per controllare i movimenti del nemico. Il discorso cambia invece radicalmente, se oltre alla daga si impiega qualche tipo di scudo, o anche soltanto oggetti generici come un bastone o, addirittura, un mantello.

Una volta compiuto il difficile accostamento allo spadaccino, il guerriero con daga avrà però ribaltato la situazione: l’allungo superiore della spada è un vantaggio fintanto che si tiene la distanza, mentre gioca a sua sfavore quando il nemico è a stretto contatto. Inoltre, in questo campo emerge il punto forte della daga, cioè la sua grande velocità di utilizzo quando si tratta di portare una raffica di colpi, sia di taglio che di punta, ciascuno dei quali potenzialmente letale.

Questo ci porta a una nuova riflessione. Se è pur vero che, in campo aperto, un guerriero armato soltanto di daga avrebbe il suo bel daffare per uscirne vivo, contro qualsiasi spadaccino, bisogna rilevare che vale anche il ragionamento opposto. Chi brandisce la spada dovrà stare molto attento a non perdere il vantaggio dell’allungo, perché, in caso contrario, per lui potrebbe essere la fine. Ecco perché la daga, nell’immaginario collettivo, è spesso associata con assassini e briganti: un oggetto piccolo, facile da nascondere, rapidissimo da estrarre a sorpresa e assolutamente letale.
In questo senso, il valore di una daga nell’attacco come nella difesa è molto sottovalutato, almeno su un piano storico. Non a caso, erano spesso ricchi nobili e mercanti coloro i quali sfoggiavano fieramente una daga alla cintola, aggirandosi nella piazza della città o in buie stradine laterali. Qualsiasi malintenzionato, che fosse armato a sua volta di coltello, di spada o di un semplice bastone, ci avrebbe pensato due volte prima di mettere a repentaglio la propria vita in una rapina finita male, indipendentemente da quale fosse il suo vantaggio iniziale.
Se, invece, torniamo ad un contesto più prettamente combattivo, come lo scenario bellico, troviamo ancora una volta qualche tipo di daga alla cintola di cavalieri, mercenari e soldati semplici. Certo, la daga non sarebbe mai stata un’arma primaria sul campo di battaglia, dove invece si preferivano lance, mazze da guerra e spade. Ma, una volta giunti a stretto contatto con il nemico, in una mischia furiosa, tutte queste armi potevano scendere a un livello addirittura inferiore rispetto a una semplice daga, magari estratta a sorpresa da dietro la schiena.

Se nell’alto Medioevo il loro posto era occupato dai coltelli, come il seax germanico, le daghe acuminate appaiono presto come fedeli compagne del cavaliere, per non separarsene più. Il motivo non era soltanto l’utilità nel corpo a corpo, ma anche il potere della daga contro le armature pesanti. Che si trattasse di un usbergo di maglia, una brigantina o un’armatura a piastre integrale, le semplici spade non potevano tagliare attraverso l’acciaio temprato; ma anche gli affondi dovevano essere precisi, per penetrare nelle fessure della corazza, e spesso la punta di una Spada d’Arme non era abbastanza sottile, né abbastanza rigida, per lo scopo. Ecco perché una daga solida e acuminata era uno strumento fondamentale, nelle battaglie medievali.
Abbiamo quindi visto come la daga, seppur molto diversa dalla spada, sia un’arma decisamente sottovalutata nel moderno palcoscenico culturale: micidiale a corta distanza (altro che 1d4 danni in Dungeons&Dragons!), facile da trasportare e anche da nascondere, nonché ottimo deterrente contro i malviventi, ed essenziale, se il nemico è protetto da un’armatura. Pensateci, la prossima volta che vedrete un Fantasy in cui le daghe sono trattate come l’ultima ruota del carro!

Hehehehe… ai miei personaggi dei GDR fantasy, la daga non manca mai! Anche se, nel sistema D&D iper-classico (la scatola rossa, per intenderci) la daga causa “solo” D4 danni, è sempre meglio dell’essere disarmato! E poi, per certe competenze (backstab) è fondamentale!
Mega-combo in un GDR (che non è dungeons): una daga dai danni taglienti (D6+2 danni e emorragia del nemico: -1 punto di salute per D6 rounds), affilata da un fabbro (+1 danno) e potenziata con un incantesimo d’acido (+3 altri danni, ferisce anche gli esseri non materiali)… per un totale di D6+6, quanto una spada di ottima qualità affilata! Un must nelle mischie!
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